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Al limitare di una folta giuncaia, un gruppo di
cicogne si levò in volo oscurando il sole, prima di disporsi in una lunga fila;
seduta sul suo scanno di canne, Nefer le seguì con lo sguardo fino a quando,
accecata da Horo, non li vide scomparire oltre il canneto da cui proveniva uno
schiamazzare di anitre.
Ad una delle ragazze che stavano esibendosi nella Danza
degli Specchi, sul piazzale antistante la cabina ove erano il
Faraone e i suoi ospiti, la principessa chiese lo specchietto che quella
reggeva in mano.
La Danza degli Specchi era una
delle più aggraziate rappresentazioni musicali ed era eseguita da ragazze
molto giovani ed elegantemente
abbigliate.
Nefer sorrise al proprio volto riflesso nello
specchio; sorrise agli occhi sfavillanti che la guardavano ed in cui erano
racchiusi sogni e fantasie. La mano le tremava, però, e il manico dello
specchietto
tremava con essa: lo sguardo, dal fondo di quella superficie
d’argento tirata a lucido, aveva catturato il suo e lo tratteneva.
La principessa capì di avere di fronte l’altra se
stessa e la chiamò:
“Nefer?… Ti chiami Nefer anche tu?… No!… Tu non ti
chiami Nefer. Il tuo nome…. oh, adesso
ricordo… il tuo nome è Isa…Isabella. Sì! Il tuo nome, nei miei
sogni, è Isabella… Tu sei il Ka di Nefer.. Sei il suo Spirito e
il tuo nome è Isabella… - un attimo di attonito, meraviglioso stupore,
poi riprese - Parla con Nefer, Isabella… Parla… parla, ti prego…”
Dall’ altra parte, Isabella sorrideva!
La principessa Nefer era conscia che la sua voce
non poteva raggiungerla. La sentiva dentro di sé, l’ altra se-stessa,
parte di sé: nello sguardo, nel cervello, nel sangue, ma intuiva l’enorme
distanza che le separava l’una dall’altra.
“Isabella…” chiamò ancora, consapevole che quello
non era soltanto un sogno, frutto della sua fantasia, ma una concessione degli
Dei, una virtù divina che le permetteva di vedere l’immagine del suo Ka,
prima della partenza per la Duat, l’Oltretomba.
“Isabella…” la chiamò per la terza volta.
Non ottenne risposta e pian piano, al lento movimento della grande barca, le palpebre le si appesantirono. Chiuse gli occhi e si lasciò scivolare in un dolce dormiveglia fino a quando una voce non la chiamò:
Non ottenne risposta e pian piano, al lento movimento della grande barca, le palpebre le si appesantirono. Chiuse gli occhi e si lasciò scivolare in un dolce dormiveglia fino a quando una voce non la chiamò:
“Nefer… Nefer, figlia mia”
Aprì gli occhi: un volto dolcissimo ed amato aveva
preso forma in mezzo alle nebbie del sonno.
“Madre… madre mia…” bisbigliò.
“Attenta, figlia! Attenta, Vita della mia Vita! La
lunga mano del figlio di Teshnut si tende… si tende per allontanarti dalla tua
ombra…”
Uno scarto della grossa barca la scosse e la
svegliò.
(continua)
brano tratto dal libro "OSORKON - Il Sigillo del Faraone"
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