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Ad un incrocio la carovana si fermò e i due ragazzi saltarono giù dal
carro ma, prima che si allontanassero, la mugnaia dette loro due grosse fette
di melone; i due principi ringraziarono, salutarono e si dileguarono tra la
folla.
Gran confusione, grande animazione e gran caldo: erano capitati in un
mercato e le grida dei venditori sovrastavano ogni altro rumore.
Un muggito sorprese la principessa Nefer alle
spalle, dopo pochi passi appena e un soffio caldo le alitò all’altezza del
collo; s’era chinata sul greto del fiume ad aiutare una lavandaia a raccogliere
biancheria da riporre in una cesta.
La ragazza sobbalzò e scattò in piedi,
lasciando andare la cesta; si voltò
spaventata e lo sguardo andò ad incrociare quello dorato e scuro di un torello.
Sempre più terrorizzata, cacciò un urlo e fece un balzo indietro; il torello
muggì ancora, forse più spaventato di lei.
Era un animale giovanissimo, nero
e irrequieto. Ghirlande di fiori e foglie gli pendevano dal collo e una
bellissima collanina di sanguigna corniola gli ornava le corna dorate. Un
ragazzo lo conduceva al guinzaglio e scoppiò immediatamente in una sonora
risata a cui si unì anche Thutmosis.
“Perché ridete della paura di Nefer. – protestò la ragazza – Nefer non
ha mai danzato davanti alle corna di un toro come le ragazze di Babilonia.”
“Ankheren non voleva ridere di Nefer.” esordì lo strano ragazzo.
Era alto e snello e l’espressione del volto era vivacizzata da uno
sguardo scuro e penetrante; intorno alla fronte portava una fascia di cuoio, alla
foggia ittita, che gli tratteneva la luminosità corvina di una lunga e folta
capigliatura. Riprese subito la parola:
“Lui è Kaptha e non è un toro selvaggio. – disse – Se ti ha fatto
paura, però, bella Nefer, Kaptha di questo è dispiaciuto e ti offre, se la
gradisci, la sua collana. Con il suo muggito voleva dire che starà meglio al
tuo collo che alle sue corna.”
“Ah.ah.ah…” rise ancora Thutmosis; Nefer lo fulminò con lo sguardo, ma
la collanina era davvero bella e Ankheren, incoraggiato dal suo sorriso, la prese dal collo del torello e la passò
intorno a quello della ragazza, poi invitò i due a seguirlo, cosa che quelli
non si fecero ripetere.
Si fermarono ad ascoltare un vecchio cantastorie che raccontava della
stoltezza di un padrone e della furbizia del suo servo.
“I ricchi sono sciocchi!” sentenziò Ankheren, dando le spalle al
citaredo.
“Perché?” domandò Nefer.
“Perché il ricco non deve aguzzare il proprio ingegno come deve fare il
povero, finendo così per non sapersene più servire.”
“Tu non sei povero, vero?” domandò ancora la ragazza, disturbata
dall’idea che al suo nuovo amico potessero accadere le avventure del
protagonista del racconto appena udito.
“Io sono figlio di Uriak l’Ittita, domatore di cavalli e allevatori di
tori al Tempio di Ptha.” rispose il ragazzo con orgoglio.
“E’ da tuo padre che hai avuto quel coltello?” chiese Thotmosis
indicando il coltello dalla lama di ferro che l’altro portava alla cintola.
“E’ proprio un dono di mio padre.” assentì l’altro.
“Se avessi del denaro con me, ti chiederei di vendermelo.”
“E’ un oggetto di nessun pregio.”
Ankheren scosse il capo, ma non era vero e lo sapevano entrambi. Però,
Ankheren doveva dire così, poiché agli Ittiti era vietato vendere oggetti di
quel metallo
“Se non posso vendertelo, però, - sorrise tendendo la mano – posso
donartelo.”
“Sei davvero generoso con i tuoi doni…”
Thotmosis non riuscì a portare a termine la frase poiché una voce,
appartenente ad una faccia assai corrucciata, assalì Nefer:
“La mia collana… la mia collana…”
Thotmosis ed Ankheren accorsero
entrambi in difesa della ragazza; disgraziatamente, però, il trambusto aveva
attirato l’attenzione di una guardia che domandò subito:
“Dove hai preso questa collana?”
ed accompagnò le parole agitando intenzionalmente la frusta che reggeva
con la destra.
“L’ho trovata io per terra.” si fece avanti Ankheren.
“Lui dice il vero.” intervenne Thutmosis, ma il tono secco, risoluto e
perentorio della voce non impressionò nessuno.
Il principe di Tebe si accigliò e fece l’atto di riprendere la parola;
guardando, peerò, le umili vesti che
nascondevano le insegne reali, preferì tacere.
“E tu chi sei? – l’apostrofò la guardia – Sei suo complice?”
“Lui è mio amico e io non sono un ladro… io…” interloquì ancora
Ankheren, ma una voce, tra la folla formatasi alle loro spalle, interruppe in
sul nascere la sua arringa in difesa di Thutmosis:
“Bugiardo. – diceva la voce – Sono sicuro che neppure il torello ti
appartiene.”
“Dove hai preso questo torello?” tornò ad interrogare la guardia.
“E’ mio. E’ della mia famiglia.”
“Bugiardo. – ripetè l’accusatore tra la folla, indicando la spalla del
recalcitrante animale – Quello è il marchio del tempio di Ptha.”
“Sia portato al Tempio.” fece una seconda voce.
“Siano portati al tempio tutti e tre. - aggiunse una terza voce - Che
siano fustigati…”
Ormai era solo un coro di minacce cui solo lo scalpitare di cavalli in
avvicinamento pose fine.
(continua)
brano tratto dal libro "OSORKON - Il Guardiano della Soglia"
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