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La nave reale con a bordo il Faraone, i principi reali e le
principesse, salpò insieme alle ombre della sera che andavano allargandosi e
navigò tutta la notte, prima che le mura del distretto di Shetep, profilassero l’orizzonte.
Una distesa desolata a nuda si distendeva a perdita d’occhio: un mondo levigato e in continua, lentissima mutazione dove acque, prati e foreste erano scomparsi per sempre o affondati nelle profondità. Shetep era nota per la caccia ai tori selvaggi, passatempo assai amato dai Faraoni.
Una distesa desolata a nuda si distendeva a perdita d’occhio: un mondo levigato e in continua, lentissima mutazione dove acque, prati e foreste erano scomparsi per sempre o affondati nelle profondità. Shetep era nota per la caccia ai tori selvaggi, passatempo assai amato dai Faraoni.
In piedi sul suo carro da guerra, all’inseguimento di uno splendido
esemplare di toro, il faraone aprì la caccia.
Lo seguivano i carri dei principi reali e dei principi ostaggi: figli
di Re vassalli o alleati; seguivano gli arcieri e i mandriani che avevano raccolto in un ampio recinto i tori selvaggi
della regione.
Le donne del seguito, spose reali e principesse, erano state fatte
allontanare dal campo e dall’alto di una collinetta seguivano ogni fase della
caccia; tra loro d’era anche la principessa Nefer.
Nefer aveva cercato un buon posto di osservazione e non perdeva neppure
un gesto di quanto stava avvenendo nella piana assolata; alle sue spalle, il
sole del primo mattino aveva già raggiunto l’orizzonte e da lontano arrivava il
rumore dei campanacci degli armenti al pascolo.
“Guardate Thumosis. – la principessa Nefrure tese un braccio – Guardate
con quanta spericolatezza si spinge incontro a quel toro dalla testa
spaventosa… Oh!... Il nostro divino padre dovrebbe imporgli più prudenza.”
Nefer volse il capo nella direzione indicata; il gesto fece tintinnare
gli orecchini di lapislazzulo.
“Quello scervellato – interloquì la voce petulante della principessa
Iter – verrà sbalzato dal carro, le cui redini, il principe Omohlo di Creta,
con troppa leggerezza gli ha messo nelle mani.”
“Thutmosis è un ottimo guidatore. – puntualizzò Nefer – Se il principe
di Creta gli ha affidato la guida del suo carro è perché Thumosis merita la sua
fiducia.”
“Thutmosis è il prediletto di nostro padre. – sorrise Nefrure. Aveva un
sorriso dolcissimo, la principessa Nefrure – Certamente Thutmosis vorrà fare
buona figura ai suoi occhi.”
Nefer guardò il fratello, il fisico nervoso e svelto che prometteva
prestanza per l’età matura, poi guardò il Faraone.
Il faraone Meremptha era imponente come una Divinità. Nefer lo guardava
ammirata, mentre con la mano sinistra scagliava la lancia e con la destra
reggeva le redini e dominava l’irrequietezza dei cavalli; ne ammirava
l’assoluto dominio su quelle creature nobili e fiere.
Nefer amava i cavalli ed amava i racconti di caccia e di guerra che come tutte le ragazze a corte aveva ascoltato fin da bambina e che vedevano i loro uomini, padri e fratelli, sempre vincitori.
Nefer amava i cavalli ed amava i racconti di caccia e di guerra che come tutte le ragazze a corte aveva ascoltato fin da bambina e che vedevano i loro uomini, padri e fratelli, sempre vincitori.
La corsa dei carri, i muggiti dei tori, lo scalpitio degli zoccoli
contro le pietre, lo stridore delle ruote, il corno di caccia del trombettiere,
esercitavano su di lei un fascino strano ed irresistibile e la trascinarono giù
dalla collina, spingendola a disobbedire agli ordini del Faraone. Lasciò le
altre donne e di corsa si portò verso uno di quei sentieri. Di corsa lo
attraversò, per raggiungere l’altra collina da dove sarebbe stato più facile
seguire le fasi della caccia.
A metà sentiero, però, un potente muggito l’aggredì alle spalle. La ragazza
si voltò e restò impietrita: un’enorme massa scura le stava davanti, dieci
quintali e più di muscoli guizzanti
sotto un manto di lucido pelo raso.
Un toro.
Nefer sollevò il capo e il suo sguardo andò a perdersi in due pupille
di vitreo liquido giallastro. Ubbidendo ad un impulso incontrollato, si voltò
per darsi alla fuga; il toro, alle spalle, sbuffava. Lo zoccolo batteva così
forte da farle tremare il terreno sotto i piedi.
Da lontano la raggiunsero le grida d’orrore delle donne e lo stridore
delle ruote di un carro in avvicinamento: il Faraone stava puntando nella sua
direzione.
Un urlo, però, piombò sulla scena come un tuono; attraversò l’aria e la riempì di echi.
Un urlo, però, piombò sulla scena come un tuono; attraversò l’aria e la riempì di echi.
Un urlo di guerra.
Uno straniero, un guerriero, calò giù dalla collinetta e si frappose
fra il toro e la principessa. Lo scontro fu brevissimo: la lunga, affilatissima
spada del guerriero, quelle in uso presso i Popoli di Mare, forgiata nel
prezioso metallo-degli-Dei, penetrò nella fronte
dell’animale che stramazzò fulminato ai suoi piedi.
Nefer, sempre di corsa, andò quasi a farsi travolgere dai cavalli del
carro del Faraone che la evitò solo grazie alla sua perizia di guidatore.
Un bagliore si levò dagli occhi del Faraone mentre, consegnata la
principessa alle cure di ancelle accorse premurose e spaventate, scendeva dal
carro per andare incontro allo straniero il quale avanzava verso di lui a
lunghi passi.
Questi si liberò il capo dall’elmo piumato e mostrò i capelli biondi.
Il suo aspetto era fiero e la fronte grave, gli occhi erano ardenti e
la mascella energica e volitiva. La figura, sotto la tunica di pregiata lana,
era possente e salda. Odorava di acqua salmastra, di sangue e sudore.
Fu lui a salutare per primo, nel riconoscere le insegne reali che
posavano sul largo petto di Meremptha.
“Signore d’Egitto, Figlio degli Dei…” cominciò
Il Faraone lo interruppe e continuando a fissarlo con molta intensità
domandò:
“Chi sei? Qual è il tuo nome, straniero? Vieni in amicizia ed alleanza
o come nemico? Se è come nemico che sei giunto su queste terre, sappi che io,
Meremptha, ho ricacciato in mare popoli invasori. Li ho uccisi e fatti
prigionieri a migliaia ed ho costretto le loro donne a servire le donne di
Tebe.”
“Giungo nella tua terra, potente Sovrano, - rispose lo straniero - naufrago e perseguitato da un Fato
avverso. Sono supplice e non nemico.”
Il Faraone addolcì un po’ l’espressione del proprio volto; i suoi occhi
scuri parvero incassarsi ancora più dentro le orbite mentre fissavano quelli
azzurri del suo interlocutore. Scrutava attentamente quel volto dall’aria
selvaggia: il volto di un uomo che doveva aver combattuto molte battaglie e non
tutte contro altri uomini.
“Il tuo nome, straniero. – disse infine – Possa io conoscere il nome di
chi ha salvato la vita di una delle mie figlie e dargli il degno benvenuto
nella mia casa.”
“Menelao, io sono, figlio di Atreo e Re di Sparta!”
(continua)
brano tratto dal libro "OSORKON - Il Guardiano della Soglia"
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