Nel pomeriggio che andava infocando, la lunga processione raggiunse la Valle del Silenzio, ad occidente del Nilo. Qui, nella Set Nefure, la Sededella Bellezza, che i posteri chiameranno Valle delleRegine, la principessa Nefer, ultimogenita del Faraone, veniva consegnata all’Immortalità.
L’Immortalità!
Nessun popolo, forse, al pari di quello dell’Antico Egitto fu ossessionato dal concetto di Immortalità. Per l’Immortalità eresse statue e templi colossali, per l’Immortalità costruì inquietanti complessi funerari e per l’Immortalità impresse nella pietra enigmi insoluti come la Sfinge e le Piramidi.
Grande era il cordoglio che accompagnava la principessa di Tebe nel suo viaggio verso l’ultima dimora, nell’assolata e pietrosa distesa ad occidente del fiume; le lacrime erano sincere, la cenere sul capo era fresca e le sponde del Nilo erano un unico lamento.
“Il corpo alla Terra, il Luminoso al Cielo.
“Il corpo alla Terra, il Luminoso al Cielo.
Vai verso le Signore della Terra Grande
Esse ti daranno il benvenuto…” salmodiava il Sem, sacerdote funerario esorcista, riconoscibile per la pelle di leopardo poggiata sulle spalle.
Alle spalle dell’uomo degli Dei, il Faraone, come un qualunque padre mortale affranto dal dolore, seguiva il feretro; Anubi ululava lontano e la sua eco andava a spezzarsi contro il lamento delle prefiche.
Il carro funebre, che due pariglie di buoi aggiogati trascinavano sulla sabbia, avanzava lento, preceduto e seguito da sacerdoti che spargevano di latte la via e bruciavano incenso; la brezza del deserto ne trasportava lontano l’acre odore e il sole dava lucentezza alla sabbia rovente.
Il corteo si fermò, raggiunto il cuore di quell’assolato anfiteatro roccioso ed un gruppo di operai cominciò a scaricare i numerosi oggetti componenti il ricco corredo funerario della principessa. Li lasciarono sull’imbocco del sepolcro; due soltanto di loro avevano il compito e il privilegio di collocarli all’interno della tomba.
Quando ogni cosa ebbe il posto assegnato, il sarcofago fu fatto scivolare nel cuore della cripta sopra un piano inclinato sui radini. Qui, dove precedentemente era sceso assieme ad altri tre sacerdoti, il Sem dette inizio ai magici riti necessari a risvegliare il Ka, lo spirito della principessa andato in letargo al momento del trapasso e che nella tomba avrebbe continuato la sua esistenza.
“Destati dal sonno e la Morte
colpisca chiunque ti disturberà…”
La voce del Sem, grave e carica di una forza e di una vitalità arcane, faceva fremere l’aria torrida e soffocante della cripta e le dita toccavano agili e veloci la bocca e gli occhi della statua che raffigurava la principessa, per consentirle di nutrirsi, guardare e gioire nella nuova ed eterna dimora. Dopo le legò al collo i magici amuleti: il Pilastro di Osiride, il Nodo di Hathor e l’Occhio di Ra, affinché la proteggessero e tenessero lontano dal suo Kale entità maligne.
Il Kao Doppio, destinato a vivere in perpetuo nella tomba, una delle sette Entità che componevano la creatura umana, era in grado, attraverso le He-kau, formule magiche, di identificarsi e riconoscersi nel defunto che occupava la tomba o, più precisamente, nel corpo fisico trasformato in mummia o, ancora, nella statua che lo rappresentava.
La statua della principessa Nefer, in legno d’ebano della Nubia, sembrava cosa viva. Il velluto delle guance, lo splendore delle labbra, la seta delle ciglia: gli scultori avevano fatto opera eccellente.
Era il ritratto gentile e delicato di una ragazza che aveva lasciato da poco l’adolescenza. Minuziosa nei particolari, come l’acconciatura o il movimento del capo portato in avanti, ma senza perdere di vista la funzionalità. Quella statua non era solo l’immagine, ma l’essenza stessa della principessa e ancora qualcosa di più: era la persona stessa.
La sua funzione era importantissima: era il supporto fisico di una esistenza intermedia tra spirito e corpo, capace di trattenere il defunto sul piano terrestre e di impedirgli il riassorbimento da parte del Cosmo.
Era il ritratto gentile e delicato di una ragazza che aveva lasciato da poco l’adolescenza. Minuziosa nei particolari, come l’acconciatura o il movimento del capo portato in avanti, ma senza perdere di vista la funzionalità. Quella statua non era solo l’immagine, ma l’essenza stessa della principessa e ancora qualcosa di più: era la persona stessa.
La sua funzione era importantissima: era il supporto fisico di una esistenza intermedia tra spirito e corpo, capace di trattenere il defunto sul piano terrestre e di impedirgli il riassorbimento da parte del Cosmo.
Ma c’erano altre statue, piccole e non, in legno o pietra: le ushbtiu, chiamate a svolgere i lavori nell’Aldilà. Anche queste, il Sem animò con frasi e gesti di magia, ma fu davanti al ritratto statuario di un giovane che il sacerdote esorcista si soffermò molto più a lungo.
“Sei tu, Osor, che respingi con la lancia
i profanatori di questa dimora
Tu proteggi il sepolcro di Nefer…”
declamò, agitando l’urre-ka, il magico strumento capace di infondere vitalità alla materia inerte.
Era il ritratto di un giovane dalle splendide fattezze; il passo era ampio e arioso, il braccio destro si staccava dal busto e avanzava verso la lancia che reggeva con la destra in un atteggiamento di serena compostezza e consapevolezza.
Quella statua aveva una funzione ben precisa: proteggere il sepolcro della principessa.
Perfetta espressione del proprio compito, la sua immagine di potenza e prestanza fisica coglieva i caratteri del Protettore e li metteva in evidenza, così come gli artigli in una belva o le corna in un toro.
“La tua mano
insorga tremenda sul sacrilego,
rovesci sulla sua
testa rovine e disgrazie…” continuava a salmodiare il Sem, traendo da una scatola sigillata un sacchetto di lino e mettendolo tra le dita della mano sinistra:
"A te che hai nella mano
il tocco della Morte Incognita
è affidata l’eterna vigilanza…”
Seguì una pausa; il rito volgeva ormai alla conclusione e lo sguardo del Sem sfiorò un’ultima volta il sarcofago della principessa, quel piccolo Universo, Cielo e Terra, che conteneva il suo corpo.
Il luccichio delle cornee nei suoi occhi, unica cosa di sé che mostrava sotto la maschera rituale, pareva un riflesso delle lucerne in mano ai due Sacerdoti funerari che officiavano con lui: in quel posto, che testimoniava la presenza di potenze ignote, il mondo dei vivi sembrava lontano e irraggiungibile e la fatale consapevolezza inquietava lo spirito.
Tornò al simulacro del Guardiano
“ A te il compito di proteggere
l’Amata di Ammon, la principessa Nefer.
Custodisci la sua dimora.”
concluse fissandolo negli occhi di quarzite grigia: avevano gli stessi occhi, lui e quel simulacro ed al’interno vi guizzava a stessa fiamma… Un ultimo sguardo poi il Semsi girò, gli diede le spalle e lasciò la cripta.
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