mercoledì 22 luglio 2015

SEGNALAZIONE







 SEGNALAZIONE - OSORKON I e II di Maria Pace

Disponibile su amazon.
TITOLO: OSORKON I
AUTORE
: Maria Pace
EDITORE: Self-Publishing
GENERE: Storico/Avventura
PREZZO: cartaceo 8,50 $
PAGINE: 164

TRAMA
Siamo nell'Antico Egitto - Epoca XIX Dinastia Regna il faraone Meremptha, figlio di Ramseth II Nefer, ultimogenita del Faraone e Isabella, sorella dell'archeologo Alessandro, comunicano telepaticamente grazie al misterioso intervento di OSORKON, la statua che i sacerdoti egizi hanno messo a guardia della tomba della principessa. Le due ragazze si scambiano notizie sull'epoca in cui vivono: storia, miti, riti, scoperte, usanze, misteri, segreti... Le loro storie si intersecano fino a... al lettore il piacere di fare scoperte e di emozionarsi attraverso le avventure vissute dalle protagoniste e dai tantissimi personaggi che le accompagnano.

Disponibile su amazon.
OSORKON II

TRAMA
Antico Egitto - Epoca XIX Dinastia Nefer, ultimogenita del faraone Meremptha e Isabella, sorella dell’archeologo Alessandro Scanu, comunicano telepaticamente attraverso una prodigiosa creatura, frutto delle avanzate conscenze degli antichi sacerdoti egizi: il Guardiano della Soglia, posto a protezione della tomba della principessa morta a soli sedici anni Le due ragazze, che oltre al nome hanno in comune anche il carattere e l’aspetto fisico, si scambiano notizie, curiosità, fatti ed aneddoti riguardanti l’epoca in cui vivono; in tal modo, Isabella viene a conoscenza di alcuni dei “misteri” che circondano lo straordinario popolo egizio. Si muovono in uno scenario del passato incantevole e suggestivo, numerosi personaggi: Osorkon, misterioso sacerdote di Bes, Sekenze, principe della necropoli, Thotmosis, fratello amatissimo di Nefer, Akheren, studente di Ptha, Enen, malvagio figlio del Gran Visir e altri ancora… Antiche avventure che si intrecciano con moderne avventure: l’archeologo Alessandro e la scoperta della tomba della principessa, Mister Smith e il traffico di reperti archeologici, Abdel il Rosso e la banda di tombaroli, il giovane Alì, studente di Architettura con la passione per l’archeologia… Storia e fantasy in un suggestivo viaggio tra il reale e il meraviglioso, il presente e il passato lungo le rive del Nilo e le dune del deserto.


NOTIZIE SULL'AUTORE

Nata a FILIANO (PZ), Maria Pace risiede a TORINO, dove svolge attività di Ricerca e Studio di Antiche Etnie: Egitto, Grecia e Roma in particolare E’ Presidente della ”Associazione Culturale Anubi”, la quale si propone la divulgazione e la conoscenza di antiche culture, (con particolare attenzione al mondo giovanile), attraverso conferenze e dibattiti presso Scuole ed Istituti, visite guidate a Mostre e Musei, nonché progetti di incontri e scambi culturali sul territorio. Ex insegnate, ha collaborato con Scuole Medie e Biennio Superiore, attraverso LABORATORI DIDATTICI sull’Ambiente e sull’Antico Egitto. Ha scritto e pubblicato numerosi testi di narrativa di carattere storico, storico-fantasy e storico-ambientale, corredati di schede per la ricerca e l’approfondimento, utili ad un’attività didattica interattiva con altre materie.

giovedì 5 marzo 2015

LA DONNA EGIZIA





"Raddoppia il pane che dai a tua madre e portala così come essa ti ha portato..."
E' una delle massime moralistiche attraverso cui, nella società egizia, tende a manifestarsi quel vago matriarcato in cui si rispecchia la posizione della donna, paritaria con l'uomo. Proprio  come accade nel campo religioso, dove le  Grandi Divinità Femminili (come Iside, Hathor,  Neith) rivendicano la parità con le  Divinità Maschili.

Nebet Per, ossia Signora della Casa, la donna egizia godeva di una posizione di rispetto e privilegio sconosciuta alle donne appartenenti ad altre culture del suo tempo: basta osservare la donna biblica, romana o medioevale; perfino i Greci si stupivano della sua libertà ed eguaglianza
Rispetto e privilegio e nella propria casa e nella società.
Nonostante  l'istituto della poligamia e del concubinato, l'egiziano era essenzialmente monogamo ed una sola era la Signora della Casa: quella che  compariva sempre al suo fianco, perfino  nelle pitture parietali delle tombe, nelle statue  o stele funerarie.
Il gineceo egizio, l'harem, quel luogo proibito e misterioso, era appannaggio soprattutto del Faraone (per motivi politici) e di ricchi Funzionari, ma anche all'interno di un gineceo reale o privato, una sola era la Signora della Casa. E l'ideale di donna emerge chiaro dagli Inni a lei dedicati e dagli accenti appassionati di molte poesie d'amore i quali testimoniano che i matrimoni non fossero solo semplici unioni fra due persone, ma che alla loro base  vi fosse l'amore.

    "La sua sposa, la sua amata.
     Sovrana di grazia, dolce d'amore.
     Piacevole nei discorsi
     Donna perfetta......"   si legge in un papiro del IV  secolo a.C.




e ancora:

    "L'unica, l'amata, la senza pari
     la più bella di tutte.
     Ecco, guardatela:
     é come le stelle fulgenti..."
La donna egizia é indicata con il termine Senet, che vuol dire Sorella, Amica... ma, nei documenti giuridici é chiamata invece Hemet, che significa Sposa: proprio per la funzione che ella svolge in seno alla famiglia.



La donna-sposa era molto influente nella famiglia, benché il matrimonio non fosse una istituzione legalizzata religiosamente o civilmente, ma solo una libera scelta di coabitazione fatta da due persone... scelta a volte, però, condizionata dalla famiglia.
Si deve aspettare il tardo periodo tolemaico per trovare un contratto matrimoniale (contratto che in realtà indicava soprattutto eventuali disposizioni sulla proprietà e i relativi diritti economici degli sposi in caso di divorzio)
Indicativo il fatto che il diritto di discendenza (anche nelle Case Regnanti... soprattutto nelle Case Regnanti) avvenisse per parte materna. Non era raro, infatti, che un uomo avesse rapporti con altre donne della casa e che avesse altri figli... tutti, però, legittimi.

Nello stato di donna sposata, la donna poteva disporre ed amministrare i beni ricevuti in dote o in eredità, le era accordato il diritto di comparire  come testimone o di intraprendere azioni giuridiche  nei processi. Non avendo tutori, era riconosciuta responsabile delle proprie azioni  esattamente come gli uomini e come questi, se portata in giudizio, sottoposta alle stesse pene.
In caso di vedovanza la donna egizia acquisiva il prestigio di capofamiglia, ereditava un terzo dei beni del marito e poteva risposarsi.
Alla donna ripudiata e rifiutata, invece, spettava sempre un largo compenso. La causa di ripudio era quasi sempre la sterilità, ma si poteva ovviare attraverso l'adozione.

Nella vita pubblica quanto in quella privata, la troviamo spesso impegnata in ruoli di prestigio e responsabilità, nonostante che  le cariche pubbliche fossero in realtà,  ricoperte soprattutto da uomini. Poche, infatti le donne che giunsero a detenere il potere supremo o a collaborare nell'attività politica: la regina Huthsepsut, nel  primo caso, la regina Nefertiti, nel secondo.
In campo religioso ricopriva spesso cariche di “Divina Adoratrice” o “Grande Sacerdotessa” di Divinità importanti come Sekhmet, Iside, Hathor; in campo amministrativo la si poteva trovare perfino a capo di un Dicastero come quello degli “Unguenti e Profumi”.
Nel privato si occupava della conduzione della propria casa, dell’educazione dei figli, dell’amministrazione di beni in proprietà con il marito e di altro ancora. La sua vita era facile e piacevole, vissuta quasi nell’ozio, tessendo o filando, tra feste e banchetti.


Tutto ciò, naturalmente, se si trattava di donne benestanti. Le donne di più umile origine, invece, avevano vita assai meno facile. Tessevano e filavano anch’esse, ma oltre a ciò, si occupavano dei lavori domestici e di quelli dei campi e facevano mille altre cose… come tutte le donne del mondo, prima e dopo di loro. Partecipavano ad ogni tipo di attività lavorativa, ma con preponderanza verso quelle domestiche: erano fornaie, mugnaie, birraie, spigolatrici, filatrici, tessitrici, contadine, nutrici, cantanti, musiciste,ecc...
Non solo lavori domestici, però. Le troviamo impegnate anche in attività amministrative con ruoli di di responsabilità. Incontriamo donne medico-ostetrico per donne e bambini, come Pesechet, della V Dinastia, ma anche donne dedite al commercio del vino e della birra ( attività squisitamente maschile) e sappiamo di donne che svolgevano attività di Giudice, Scriba e perfino Visir (corrispondente al nostro Presidente del Consiglio dei Ministri).

Diversa, però, era l’esistenza vissuta in  un Ipet, il gineceo reale.






Qui, le donne vivevano in una condizione di recluse, all’interno di una gabbia dorata, con il solo scopo di arrecar piacere al Sovrano e senza nessuno dei diritti riservati alle donne comuni; scelte in tutto il Regno, quella condizione, però, era un grande onore per se stesse e le loro famiglie.

Le varie statuette rinvenute nelle tombe,  le scene parietali, ecc... ci  mostrano una donna assai bene inserita nella società lavorativa: ci trasmette, cioè, il grado di rapporto paritario raggiunto con l'uomo; assai diverso d quello delle donne appartenenti a civiltà della stessa epoca.



La donna, però, era soprattutto il pilastro della famiglia e la famiglia era il pilastro della società e come tale  la donna egizia era rispettava e protetta.

LA MAGIA di OSOR



......................

Ogni cosa intorno andò sfocando e quando la nebbia si dissolse, si ritrovò in quell’”altro mondo”, nei panni della principessa Nefer ferita e sanguinante.
Nessuno degli amici pareva essersi accorto di lei e della sua ferita; gli sguardi di tutti erano concentrati sulla figura del Sacerdote di Bes, Osor, chino al suolo sopra un mucchietto di terra.         
Anche Nefer aveva lo sguardo fisso su di lui. Un ginocchio per terra, l’altro appoggiato ad una bassa sporgenza il giovane prete della più misteriosa Divinità della necropoli di Tebe stava bagnando la sabbia con l’acqua del piccolo otre di pelle che portava sempre legato in vita.

Con gesti rapidi e precisi le dette volume e consistenza e quando il mucchietto informe ebbe preso la sagoma di un leone di sette o otto pollici, Osor lo irrorò con le ultime gocce dell’otre.
A questo punto, intonò una cantilena struggente, modulata e dolce: la giusta-voce che solo un chery-webb, sacerdote esorcista di grado elevato, conosceva ed era capace di impostare.
Nefer guardava in silenzio e l’orecchio  seguiva frastornato i suoni incomprensibili delle He-Kau, le Sacre Parole dell’incantesimo: il deserto, le rocce e il cielo, parevano rinviarne i suoni e gli accenti misteriosi
La piccola sagoma di sabbia cominciò ad oscillare; i granelli vibrarono, si mossero, poi si unirono in una massa compatta ed omogenea. Una miriade di piccole scintille, che parevano prendere vita direttamente dall’aria e dal riverbero rovente del suolo, formarono un’aureola che circondò il piccolo simulacro di leone e colui che l’aveva creato.




Quando Osor ebbe pronunciato l’ultima parola, un leone dalle straordinarie proporzioni fisiche, palpitante di vita, balzò fuori dall’alone di luce trasparente.
Un potente, terrificante ruggito riempì l’aria e raggelò il sangue nelle vene; i soldati smisero di tirar frecce e fuggirono spaventati.
“Che prodigio è mai questo?”  
“Via… via! Scappiamo!”  gridavano.
IL gruppo di amici arretrò sparpagliandosi; il principe Xanto appariva il più turbato:
“La tua magia, amico Osor, supera di gran lunga quella di ogni altro mago!” continuava a ripetere.
“Neppure il mago Vebaoner, avrebbe potuto reggere il tuo confronto, amico mio.” assentì il principe Thutmosis con il tono di chi si sente fortunato.
“E neppure l’ebreo Mosè, che guidò la rivolta di alcune tribù del popolo degli Ibrihim contro il nostro beneamato Faraone, fece mai tanto.” gli fece eco la voce del giovane Amenemhat, allievo di Thot.
“Non conosco questo Mosè. – confessò il principe troiano – Era un guerriero del Popolo di Mare?”
“No! – interloquì Ankheren – Al cospetto di Meremptha, nostro beneamato Signore, Amato di Ptha, il potente mago Mosè voleva mettere in mostra la potenza del suo Dio trasformando in serpente il suo bastone e facendogli divorare quelli in cui  i maghi d’Egitto avevano trasformato i propri, ma… quel magico serpente svanì come nebbia al sole quando lui – l’allievo di Ptha indicò il prodigioso prete di Bes – lo toccò con l’indice della sua mano destra.”
Il rumore di cavalli in arrivo, mentre Enen minacciava i soldati in fuga, attirò l’attenzione del ragazzo.
“Sentite? – disse - Zoccoli di cavalli. Deve essere il principe Sekenze.”
Enen, intanto, continuava ad urla ed inveire:
“Tornate indietro, stupide donnette… Non fuggite come gazzelle impaurite… E’ solo un trucco!… E’ solamente un trucco…”

 (continua)

brano tratto dal libro   OSORKON - Il Sigillo del Faraone
su   AMAZON

IL PAPIRO-VIVENTE


 .............................

C’era il giovane Amenemhat alla guida del gruppo e con passo sicuro lo stava conducendo verso una sala ipostila. A cielo aperto.
Il ragazzo avanzava spedito, ma ogni tanto si voltava,
 con sguardo di affettuosa sollecitudine in direzione del suo maestro per assicurarsi che stesse al passo. Il vecchio, però, procedeva veloce, rivelando insospettate doti di agilità nonostante la voluminosa mole che si portava dietro.

o.




Amenemhat aveva quattordici anni; non molto alto, ma agile e snello. Il portamento era elegante: di nobile stirpe, si sarebbe detto e il volto era di una bellezza insolita in terra d’Egitto: delicata e quasi femminea. La pelle era chiara, là dove il sole non l’aveva scurita e gli occhi erano di un indefinibile verde. Le orecchie a conchiglia, il mento arrotondato e il naso affilato conferivano al suo volto nel loro insieme una vaga somiglianza con i profili tracciati in certe anfore di provenienza mitanne.
Ma nessuna di quelle caratteristiche lo rendeva diverso dagli altri ragazzi quanto la sua capigliatura lunga, folta e di un biondo fiammeggiante.
Amenemhat era un trovatello, sicuramente straniero, abbandonato tra le colonne del tempio del faraone Amenemhat III, in onore del quale gli era stato dato il nome che portava: un nome reale per un ragazzo speciale.
Accadeva spesso che trovatelli rinvenuti nelle corti dei Templi fossero allevati come servi o conseguissero i gradi inferiori di sacerdozio. Lo scriba reale SetepenRa lo aveva trovato lui  personalmente, durante una cerimonia di commemorazione in onore del celebre Faraone della XIII Dinastia e lo aveva portato con sé al Tempio di Thot, dove lo aveva affidato alle cure delle donne. Qui il bimbo era stato allevato e qui stava conducendo con strabilianti profitti gli studi di scriba. Il vecchio sacerdote si era sinceramente affezionato al ragazzo e pensava seriamente di adottarlo come figlio e di farsi succedere nella professione.
Quella dello scriba era la professione più ambita dalla popolazione dell’Antico Egitto. I compiti erano dei più svariati: verificare la posizione dei confini dei campi dopo le inondazioni, annotare i risultati dei raccolti per calcolarne le imposte, redigere atti giudiziari e notarili e occuparsi di tante altre cose ancora.
Benché come altre professioni anche quella dello scriba venisse tramandata da padre in figlio, chiunque, avendone le capacità necessarie, poteva diventare scriba.
Alla Casa della Vita, le scuole dei templi di Thot, dove si conseguiva un ciclo di studi di non meno di dieci anni, erano in molti quelli che andavano a bussare, ma solo in pochi riuscivano a farsi ammettere: la selezione era ferrea, però, meritoria. Il lavoro successivo era anche più severo e non raramente accompagnato da punizioni corporali.
Durante il periodo di studio gli allievi dovevano copiare e ricopiare frasi, sentenze e calcoli, utilizzando frammenti di legno o di ceramica: gli ostraka, come li ribattezzeranno più tardi i Greci. Il papiro, materiale fragile e prezioso, ma anche assai costoso, che gli egizi chiamavano Ouadj, ossia Vigore, veniva usato solo al termine dell’apprendistato.

Lasciata l’ultima saletta, il gruppo raggiunse il cuore del Santuario, la parte più intima, dov’era custodita l’effigie del Dio.  Luogo inviolabile e precluso ai più.
Appena, però, lo scriba reale ebbe aperto la porta di quella stanza recondita e sacra, il giovane Ankheren frenò d’istinto la propria corsa, evitando di guardare all’interno,  dove c’era il Naos,  il Tabernacolo, che custodiva l’effigie di Ammon.
Si intravedeva appena, nascosta in una fitta selva di veli e in una penombra sapientemente rischiarata dal fuoco di un minuscolo tripode.
“Presto. - lo sollecitò lo scriba reale – Non indugiare, ragazzo.”
“Ma… io non posso mettere piede in questo posto sacro… Mi pare già di sentire Kebhesnuf affilare i suoi artigli di Sacro Sparviero e Anubi rizzare le sue orecchie di Sciacallo Divino…”
“Anubi e Khebesnuf sono amici dei Giusti. – lo rassicurò lo scriba – Seguici senza timori.”
“Lo sapranno, Anubi e Khebesnuf – il figlio di Mursil l’Ittita non sembrava troppo convinto – che noi non abbiamo intenzione di profanare questo luogo sacro? Lo sapranno, eh?…”
“Abbi fede, ragazzo. – lo rincuorò SetepenRa – Gli Immortali conoscono bene il cuore degli uomini. Non temere.”
Vinte, non senza qualche riserva, le ultime reticenze, il ragazzo seguì gli altri e varcò la soglia di quel posto proibito.

Passando accanto al tabernacolo lo scriba reale staccò dal Fuoco Sacro una fascina in fiamme e con quella fece luce; la fiamma illuminò la parete in fondo al vestibolo, quasi interamente occupata da una grande pittura muraria che mostrava il Faraone nell’atto di offrire doni ad alcune Divinità.
Per arrivarci dovettero attraversare un’infilata di colonne di grande imponenza.




Amenemhat si fermò ai piedi della terza colonna dell’ultima fila: il Papiro Vivente.
Quella colonna, mimetizzata da una delle decorazioni di cui il fusto era interamente coperto, celava uno dei segreti del Tempio: un’apertura da cui partiva un passaggio che si aprì non appena il vecchio scriba ebbe toccato una levetta.
L’apertura mostrò l’esistenza di un vano.
Attraversarono quel passaggio e appena dentro, lo scriba si richiuse accuratamente la porticina alle spalle; staccò una torcia attaccata ad un anello infisso nella parete e l’accese con il fuoco della fascina che aveva in mano. Immediatamente dopo una bella fiammata rischiarò l’ambiente.
Era umido, stretto ed angusto ed era l’accesso ad un cunicolo che portava in basso nelle fondamenta del Tempio. Da qui partiva un tratto lungo e tortuoso che parve interminabile: stretto, buio e impraticabile, sprofondava per metri sotto terra.
Ostacolati da pietre sporgenti dalle volte e dalle pareti, inciampando contro i sassi del pavimento terroso, il gruppo avanzava a fatica.
Mano a mano che procedevano, nel più assoluto silenzio e come storditi da quell’aria fetida, malsana e assai vicina al tanfo, pareva loro di avvertire un disagio sempre più simile all’inquietudine.
La principessa Nefer inciampò in una sporgenza, Xanto la sorresse ed Ankheren, alle loro spalle, non riuscì a trattenere un’imprecazione.
“Siamo vicini all’uscita.” li rincuorò il giovane Amenemhat, che mostrava di conoscere bene quel passaggio.
“.. e lontano da ogni pericolo. – aggiunse lo scriba – Pochi conoscono questo passaggio. Fu fatto costruire da Amenemone, Direttore dei Lavori Regi del Faraone Ramseth, - spiegò – affinché il Ka del Faraone potesse liberamente lasciare la sua dimora eterna e andare a cacciare da solo i leoni fra queste montagne.”
Appena fuori, tornati all’aria aperta, si trovarono in mezzo alle rocce e con un sole che  picchiava così forte da frantumarle: al confronto dell’asfissiante calura che avevano appena lasciato,  quell’aria rovente parve dolce come un’arietta di oasi verdeggiante.
“Uhhh! – esclamò Xanto – Finalmente all’aria aperta.”
“Qui le nostre strade si dividono. – il vecchio prete riprese la parola – Amenemhat, però, verrà con voi.”

La valle, davanti a loro si estendeva assolata e senza un filo d’ombra; tutto era giallo e sbiadito. L’orizzonte era occupato da fosche colline e monti arroventati; alle spalle si apriva la gola attraverso cui si accedeva alla Set Maat  o Sede della Verità, che i posteri chiameranno Valle dei Re e ad oriente spaziava, a perdita d’occhio, la distesa del deserto.
Faceva caldo: Horo, laggiù, non era amico né alleato dell’uomo.
“Tre giorni sono lunghi da passare se si hanno nemici che calpestano la tua ombra e sei un fuggiasco.”  esordì Osor, il sacerdote di Bes, che per tutto il percorso non aveva fatto sentire la sua voce.
“Cercheremo un rifugio dove aspettare che il battello con il carico per il cantiere del nuovo palazzo del Faraone a Pi-Ramesse sia pronto a partire.” spiegò Amenemhat.
“Dove andremo?” chiese il principe Thotmosis.

“Due ore di cammino ci  porteranno all’oasi di Hibis.” rispose l’allievo di Thot.

(continua)

brano tratto da  OSORKON - Il Sigillo del Faraone
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NEFER - ISABELLA




...........................
Appena fuori del Tempio, però, la principessa Nefer ebbe la sensazione che l’orizzonte andasse allargandosi e tutto quanto in esso contenuto, cappelle, antri, monti e strade, cominciassero a dissolversi in un etra fluido ed instabile comparso improvviso. Un nuovo paesaggio venne pian piano sostituendosi, ugualmente assolato e giallo, ma assai più arido e rovente.
Vide, là dove c’erano case e cantieri, rovine, cumuli di terra smossa, tombe scoperchiate e tanta gente: una moltitudine di gente strana. D’aspetto inquietante. Come non ne aveva mai viste prima e che non assomigliavano a nessuno dei popoli che conosceva.
Improvvisamente “la” vide.
Vide Isabella. Vide il proprio Ka in mezzo a quelle persone ed “avvertì” un pericolo mortale incombere sopra la sua persona.
“Attenta! Attenta! Lo spettro del Messaggero è sopra di te. – urlò, tendendo le braccia in avanti, come per afferrarla  - Attenta… ”

Una voce, proprio nello stesso istante, attraversò il cervello di Isabella, lacerandole la coscienza; si trovava nella necropoli in compagnia degli amici.
“Attenta! … - rintronava quella voce dietro la fronte aggrottata - Lo spettro del Messaggero è sopra di te. Attenta…  A-t-t-e-n-t-a!”
Isabella avvertì una minaccia nell’aria, poi vide Osor, al suo fianco, protendere un braccio in avanti e qualcosa rimbalzarvi sopra con un sibilo acuto, andando a colpirla di striscio alla spalla sinistra.
Isabella abbassò il capo e vide una macchia arrossarle la camicetta color kaki. Era ferma in mezzo al viottolo, accanto ad uno dei tanti banchi di souvenirs offerti ai turisti: quasi in casa, poiché le abitazioni erano proprio nel cuore della necropoli.
Era confusa e le parole che le uscirono dalle labbra parevano non aver senso:
“Lo Spettro della Morte… Il Messaggero…” continuava a ripetere mentre, con fatica, cercava di riannodare sensazioni, emozioni e fili spezzati di pensieri vagabondi.
“Qualcuno sta sparando… - urlò una voce alle sue spalle - Mettetevi al riparo.”
L’amico Alì, che era con lei, la prese per un braccio e la trascinò via.
Il tipico, tranquillo movimento che ogni giorno animava quella parte della necropoli, s’era di colpo mutato in caos e confusione e i roventi riverberi di Horo sulla  sabbia gettavano luce su facce scomposte e spaventate.
Come ogni giorno, migliaia di turisti, giunti stipati in autobus o altri mezzi di trasporto, minacciavano con la loro invadente presenza la sopravvivenza di  infinite memorie: tombe costruite con l’intento di non essere mai violate e prese quotidianamente d’assalto. I due ragazzi cercarono riparo dietro una roccia ed Isabella domandò:
“Co.. cosa sta su… succedendo?”
“Qualcuno sta giocando al bersaglio con una pistola e l’amico Osor ci ha fatto scudo con le sue braccia. “ spiegò Alì, voltandosi a guardarla e  accorgendosi solo allora della camicetta macchiata di sangue – Ma tu sei ferita?” esclamò.
“Xanto…” fece ancora lei, staccata e lontana.
“Misericordia di AllaH! – continuò il ragazzo – Ma tu sei ferita? Hai la maglietta tutta insanguinata…”






“Xanto…” ripeté lei senza staccargli lo sguardo dal volto e fissandolo con profonda intensità, come se un improvviso, misterioso fulgore dello spirito, le si fosse trasferito negli occhi ancora velati di nebbia e di mistero.
“Sono Alì! Non mi riconosci? – domandò il ragazzo con accento preoccupato – Sembra che tu stia muovendoti in un sogno…  Sei  tornata nel mondo della principessa Nefer? – ed intanto che parlava e le sorrideva rassicurante, con il fazzolettone color kaki, che portava sempre al collo, cercava di tamponarle la ferita: superficiale, per fortuna – Ma guarda qui! – stava dicendo – Un paio di centimetri più in là e ti avrebbe colpito alla gola… Ehi, Isabella… mi riconosci? Sono io. Sono Alì!”
“Alì… Alì!” ripeté la ragazza, poi, pian piano, dolcemente, la nebbia andò svanendo dai suoi occhi e lo sguardo si fermò in quello di lui, sempre più chiaro, sempre più lucido, più tranquillo.
Si sorrisero. Con una tenerezza che raggiunse immediatamente i cuori di entrambi. Continuarono a guardarsi negli occhi e gli sguardi si fusero, chiamando alla coscienza sentimenti di tenero piacere.
“Bentornata, principessa.”
Il ragazzo continuava ad avvolgerla in sguardi carezzevoli, mentre con una mano le sfiorava la fronte.
Isabella protese il volto e le labbra si sfiorarono in un bacio breve e tenerissimo.
Il primo.
Si ritrassero, ma restarono ancora a guardarsi ed era come se si vedessero per la prima volta.
“Isabella!”
“Alì!”
Davanti a loro, sulla stretta valle, in un labirinto di colli disordinati e disuguali, torreggiava il monte del Qurnet Marrai e si stendevano gli avanzi del villaggio di Deir el Bahari, simile ad una grande griglia scura: qui, sparpagliati tra le rovine, molti turisti avevano trovato riparo dagli spari.
Isabella parve finalmente accorgersi di loro.
“Che cosa è successo? – domandò – Cosa erano quegli spari?… Erano degli spari, vero?”
“Sì! Questo caldo ha picchiato troppo in testa a qualcuno o… o, forse, si tratta di un regolamento di conti. – spiegò Alì – Mi è parso di riconoscere uno di quei malviventi… Sì! Sono certo d’aver già visto la sua faccia… quello che fuggiva… L’altro, quello che lo inseguiva sparando… oh, ecco i soldati. Finalmente!”
“Spero li acciuffino entrambi.”
“Sì!… Oh, ci sono! Ricordo dove ho visto quell’uomo: al bazar di Ashraf Sceik. Ricordo bene.”
“Il bazar di Ashraf Sceik? Ma non è…” replicò Isabella; il ragazzo non la lasciò finire.
“Il più importante posto di ricettazione di antichità della città. – spiegò – Ashraf è un ricettatore e quell’altro dev’essere un complice non troppo soddisfatto… ma, tu, principessa, devi farti medicare. – aggiunse indicando la sua maglietta arrossata – C’è un servizio di ambulanza. Dobbiamo raggiungerlo… E dimmi… Chi è questo Xanto? – l’avvolse in un tenero sorriso, poi aggiunse – La spalla ti fa male? Ma guarda un po’… Allora? Chi è questo Xanto?”
“Xanto?” fece eco la ragazza.
“Mi hai chiamato con quel nome. Non ricordi?… Chi è Xanto?”
“Oh sì! Xanto è un principe troiano prigioniero di re Menelao, ospite del Faraone… - seguì una breve pausa, poi Alì incalzò con un gesto del capo e lei proseguì – Xanto ti assomiglia molto… Sembrate due gocce d’acqua.”
“Davvero?”
“Proprio così! E la principessa Nefer è innamorata di lui ed io credo che anche Xanto lo sia di lei… Io… io devo tornare laggiù. – Isabella cominciò a dar segni di agitazione – Devo tornare dalla principessa Nefer ed aiutarla a mettere in salvo il principe Xanto… aiutarla a farlo fuggire…”
“Hai detto che è prigioniero di questo… Menelao.”
“Menelao, re di Sparta. Lo ha fatto prigioniero durante la guerra di Troia e lo ha condotto con sé quando ha lasciato la città devastata e distrutta. Un naufragio, però, ha affondato la sua flotta ed egli è arrivato fino a Tebe con i compagni scampati alla furia del mare.”
“Forse dovremmo saperne di più su questo Menelao… Oh… Siamo arrivati. Là c’è l’ambulanza e potranno medicarti. Vieni.”

Alì affrettò il passo e Isabella lo seguì.

(continua)

brano tratto da    OSORKON- Il Sigillo del Faraone

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mercoledì 4 marzo 2015

IL PRINCIPE XANTO di TROIA

  

 .......................
Nefer si girò per tornare al suo scanno. Fatti pochi passi, però, andò a scontrarsi con qualcuno che veniva in senso opposto.  Pareva avere Seth alle calcagna e dovette sorreggerla per impedirle di cadere.
La ragazza sollevò gli occhi e il cuore le balzò nel petto nell’incontrare uno sguardo, azzurro come il cielo che le stava sulla testa, profondo come le acque del Nilo e ardente come i raggi di Horo.

Era un giovane sui venti anni, prestante ed atletico, capelli biondi. Gli occhi, di colore indefinibile, chiari e brillanti, la guardavano in modo così intenso che a Nefer parve deliziosamente sconveniente e il suo volto avvampò sotto quello sguardo.
Indossava la veste delle Guardie Reali e la sovrastava con l’imponente statura.
“Perdonami, bella fanciulla…” cominciò lui, ma Nefer lo interruppe:
”Tu… tu sei il principe Xanto di Troia.” esclamò; l’altro aggrottò la fronte senza rispondere.




Quel giovane era proprio il figlio di Priamo, ultimo della numerosa prole del Re di Troia e forse il più avvenente. La sua storia era uguale a quella di tutti gli altri principi troiani scampati all’eccidio e destinati alla schiavitù. Menelao, re di Sparta e capo dell’armata achea, caduta la città, lo aveva fatto prigioniero e condotto schiavo con sé.  Durante il ritorno in patria, però, la dea Atena aveva ostacolato la traversata del capo dei guerrieri achei perché adirata e contro il greco Aiace d’Oileo, che aveva usato violenza a Cassandra, principessa di Troia e sua Sacerdotessa.
L’ira della Dea dell’Ulivo aveva colpito quasi tutti i guerrieri Achei perché non avevano punito quel sacrilegio. Aveva fatto vagare e poi disperdere la flotta attraverso i mari: delle cinquanta navi di Menelao si erano salvate dal naufragio solamente cinque, più quella di un suo guerriero, a bordo della quale si trovava il principe Xanto.
“Perché indossi la divisa delle Guardie del Faraone? – domandò la principessa; il ragazzo continuava a guardarla in silenzio – Sei fuggito? I soldati del Faraone ti stanno cercando, lo sai? Non temere, però. Io non ti tradirò.” lo rassicurò.
Fatto prigioniero, dopo la morte del fratello, il grande Ettore, il ragazzo aveva più volte tentato la fuga e quello era solo l’ultimo tentativo di sottrarsi alla prigionia ed alla schiavitù.
“Tu non sei come i soldati del Faraone. – proruppe con amarezza il principe fuggiasco – Si sono posti sulle tracce di Xanto come un branco di cani rabbiosi che corrono dietro l’antilope per il piacere del padrone.”
“Il Faraone  d’Egitto – replicò Nefer – non  ama dare la caccia ai fuggiaschi, siano pure essi figli di Re. Il Faraone è valente cacciatore di tori, leoni ed elefanti e non di uomini!”
“Tu stessa – replicò a sua volta il ragazzo – hai detto che l’esercito intero è sulle tracce di Xanto… neppure per mio fratello Ettore, il più valoroso guerriero della terra, si è mai mobilitato un esercito intero
“Non è consuetudine del Faraone, mio padre, cacciare uomini, ho detto e…”
“Per il Sacro Tridente di Poseidone! – proruppe nuovamente l’altro – Tu sei la figlia del Faraone? Oh, me meschino! Ora mi farai…”
“Ti ho detto di non temere alcun danno da parte mia. – lo rassicurò nuovamente lei – Io conosco ciò che è accaduto alla tua città… Troia! So con quale ingannevole azione è stata costretta alla resa e so della triste fine del suo Re Priamo e dei suoi figli… L’ho sentita tante volte per bocca dei cantori che giungono qui, a corte. Ho sentito cantare le gesta di principi guerrieri come Odisseo, Achille e anche Ettore ed Enea… Ho  udito del dono della veggenza che Cassandra, principessa di Troia, ebbe da un Dio di nome Apollo e dell’infallibilità dei responsi del suo gemello, il principe Eleno, che…”
“E’ proprio nella terra dell’Epiro, - la interruppe per la seconda volta il principe Xanto – che voglio arrivare… col favore degli Dei.  Mio fratello Eleno, che mi dicono sia giunto sano e salvo in quella terra, sarà felice di ospitarmi… Spero. E lo sarà anche Andromaca che egli ha sposato dopo la morte di nostro fratello Ettore, avvenuta non per mano di Achille… ma… ma grazie solo all’aiuto dei suoi Dei. – il principe troiano ebbe una pausa: la sua voce era carica di dolore e di rancore. Si schiarì la gola, tirò su col naso, poi continuò – Ricordo che Andromaca era gentile con me quando ero bambino e giocavo con suo figlio Astianatte.”
“Io ti aiuterò a fuggire.” disse d’un fiato la principessa di Tebe.
“Perché lo fai?” domandò lui; Nefer scosse la testa e continuò:
“Quando re Menelao giunse qui, salvò una delle figlie del Faraone dalla furia di un toro inferocito e il Faraone gli deve riconoscenza… Sono io quella principessa e chiederò al capo delle Guardie Reali di porti sotto la sua protezione.”
“Il principe Thutmosis?”
“Tu non dovrai più temere per la tua libertà. – assentì col capo la ragazza – Sarà il principe Thutmosis a mettere in atto questi propositi… dopo che gliene avrò parlato, naturalmente.- aggiunse con un sorriso che le illuminò il bel volto - Adesso vai. Nasconditi da qualche parte. Domani ti presenterò al capo della Guardia Reale. Aspettami davanti al Pilone di Ammon-Ra… Sai dove si trova il Pilo… ”
“Ti aspetterò lì! – la interruppe il principe fuggiasco, poi - Non sei solo bella, principessa, ma anche gentile e generosa. – sorrise e prima di allontanarsi aggiunse – Non conosco il tuo nome.”
“Nefer… Sono la principessa Nefer di Tebe.”
“A domani, dolce fiore d’Egitto. – salutò il ragazzo – A domani, principessa Nefer, bella e splendente più dell’Aurora.”
Rimasta da sola e con le guance diventate porpora, Nefer riassaporò quelle parole e il cuore cominciò a batterle precipitosamente.




“Mi trova bella.” pensò sottovoce, cercando la propria immagine riflessa nello specchietto della danzatrice. Cercò anche un altro volto, nel fondo dello specchietto: quello dell’altra se stessa, ma Isabella non c’era più.
(continua)
brano tratto da   OSORKON - Il Sigillo del Faraone
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LA DANZA degli SPECCHI





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Al limitare di una folta giuncaia, un gruppo di cicogne si levò in volo oscurando il sole, prima di disporsi in una lunga fila; seduta sul suo scanno di canne, Nefer le seguì con lo sguardo fino a quando, accecata da Horo, non li vide scomparire oltre il canneto da cui proveniva uno schiamazzare di anitre.
Ad una delle ragazze che stavano esibendosi nella Danza degli Specchi, sul piazzale antistante la cabina ove erano il Faraone e i suoi ospiti, la principessa chiese lo specchietto che quella reggeva in mano.             
La Danza degli Specchi era una delle più aggraziate rappresentazioni musicali ed era eseguita da ragazze molto  giovani ed elegantemente abbigliate.

Nefer sorrise al proprio volto riflesso nello specchio; sorrise agli occhi sfavillanti che la guardavano ed in cui erano racchiusi sogni e fantasie. La mano le tremava, però, e il manico dello specchietto 
tremava con essa: lo sguardo, dal fondo di quella superficie d’argento tirata a lucido, aveva catturato il suo e lo tratteneva.
La principessa capì di avere di fronte l’altra se stessa e la chiamò:
“Nefer?… Ti chiami Nefer anche tu?… No!… Tu non ti chiami Nefer. Il  tuo nome…. oh, adesso ricordo… il tuo nome è IsaIsabella. Sì! Il tuo nome, nei miei sogni, è Isabella… Tu sei il Ka di Nefer.. Sei il suo Spirito e il tuo nome è Isabella… - un attimo di attonito, meraviglioso stupore, poi riprese - Parla con Nefer, Isabella… Parla… parla, ti prego…”
Dall’ altra parte, Isabella sorrideva!

La principessa Nefer era conscia che la sua voce non poteva raggiungerla. La sentiva dentro di sé, l’ altra se-stessa, parte di sé: nello sguardo, nel cervello, nel sangue, ma intuiva l’enorme distanza che le separava l’una dall’altra.
“Isabella…” chiamò ancora, consapevole che quello non era soltanto un sogno, frutto della sua fantasia, ma una concessione degli Dei, una virtù divina che le permetteva di vedere l’immagine del suo Ka, prima della partenza per la Duat, l’Oltretomba.   
“Isabella…” la chiamò per la terza volta.
Non ottenne risposta e pian piano, al lento movimento della grande barca, le palpebre le si appesantirono. Chiuse gli occhi e si lasciò scivolare in un dolce dormiveglia fino a quando una voce non la chiamò:
“Nefer… Nefer, figlia mia”
Aprì gli occhi: un volto dolcissimo ed amato aveva preso forma in mezzo alle nebbie del sonno.
“Madre… madre mia…” bisbigliò.
“Attenta, figlia! Attenta, Vita della mia Vita! La lunga mano del figlio di Teshnut si tende… si tende per allontanarti dalla tua ombra…”

Uno scarto della grossa barca la scosse e la svegliò.
(continua)
brano tratto dal libro   "OSORKON - Il Sigillo del Faraone"

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martedì 3 marzo 2015

Il richiamo alla VITA del simulacro di legno



****************
S’interruppe nuovamente e sollevò il capo, come folgorata da un improvviso pensiero.
“E’ così che il chery-webb, Sacerdote Lettore, - pensò a voce alta – avrà recitato queste formule davanti alla tomba della principessa Nefer il giorno del funerale?… E’ questa l’intonazione giusta? Solo se pronunciate con la giusta voce, le formule avrebbero difeso il defunto dalla disgregazione e dall’attacco di entità nemiche… Solo una vibrazione corretta della voce avrebbe procurato un giusto impiego della formula… Osor! – il volto della ragazza si distese in un sorriso dolcissimo – Ci saranno state formule per richiamare anche lui? Osor è il Guardiano a difesa della tomba di Nefer… Lei… lei poteva chiamarlo alla vita con delle formule magiche?… E se davvero ci fosse, tra queste, la formula per richiamare Osor alla vita?”
Febbrilmente si pose alla ricerca di un indizio, una parola, una frase indicativa e infine si fermò davanti ad un titolo:
Formula per uscire dalla rete.”
Si trattava di un testo quasi incomprensibile, estremamente corrotto e con parole sconnesse. Lo stesso, la ragazza cominciò a recitare:
“Io sorgo nell’ora di vivere
 con le interiora degli Dei
 Io conosco il ramo
 che gli appartiene: è il dito di Sokar
 Conosco il palo: è la gamba di Nemu.
 Conosco la punta: è la mano di Isis…”
Isabella ebbe un gran sospiro.
“Uhhhhhh!… chissà cosa vorranno dire  queste parole… Chissà se avranno un senso… un significato. Mah! Domani… continuerò a leggere domani. Ho proprio sonno e mi si chiudono gli occhi.”


Con uno sbadiglio raccolse i fogli e si preparò per la notte. Indossò un leggero pigiama e si infilò tra le lenzuola; un ritornello, però, continuava a martellarle nella mente e sulle labbra:
“… io sorgo nell’ora di vivere
  insorgo nell’ora di vivere
  con le interiora degli Dei…”
Chiuse gli occhi, ma continuò a bisbigliare:
  “Io sorgo nell’ora di vivere… io sorgo…”

Simili ad anelli di fumo di incenso, le magiche parole parevano materializzarsi, appena lasciate le labbra della ragazza; parevano alzarsi e restare in sospensione nell’aria, per poi dilatarsi… più… sempre più… come una nuvola invisibile.
  “Io sorgo… io sorgo nell’ora di vivere…”
Parvero allungarsi, infine ed allargarsi; muoversi come onde magnetiche, come energia misteriosa ed inarrestabile… Tutta la stanza ne fu satura e… ancora di più: l’essenza lasciò la stanza e fluì  oltre la finestra aperta sulla città.
Ogni terrazzo, ogni vetta, ogni  pinnacolo ne fu lambito; palazzi, moschee, musei ne furono investiti… arrivò al Museo delle Antichità.
Qui, penetrò l’oscurità delle sale, raggiunse e sfiorò statue e mummie, naos e sarcofagi, ed infine avvolse la statua del Guardiano della tomba della principessa Nefer.

              “Io sorgo nell’ora di vivere…"

Gli occhi di Osor, il simulacro di legno, di colpo si spalancarono. Nel suo sguardo di pasta vitrea comparve un lampo: di vita e consapevolezza di esistere.




Il legno che imprigionava la forza vitale era sempre intorno a lui, come uno scudo protettivo ed incorruttibile, ma la giusta voce  era tornata ad attraversarlo per richiamarlo alla vita e lui, magica creatura, era pronto a rispondere al comando contenuto nella formula del  Risveglio alla Vita.
“Mia dolce signora, Divina Nefer, sei tu che mi chiami?”
Le sue labbra si mossero, ma le parole rimasero ancora dentro di lui, prigioniere del legno.
Non ebbe alcuna risposta, ma il comando si ripeté, perentorio ed imperioso, dentro di lui. Gli ordinava di “sorgere alla vita” e di “vivere” e di liberarsi del legno che lo tratteneva.
“Io sorgo nell’ora di vivere.”
Il petto gli si allargò in un profondo respiro cui seguirono echi prolungate di scricchiolii di legno,  poi la voce lasciò la materia inerte e uscì fuori:

          “Io sorgo nell’ora di vivere…”

Seguì un secondo, prolungato respiro: l’incantesimo che lo teneva prigioniero nel legno s’era rotto, infine.
“Io vivo, mia dolce signora… io vengo… io vengo…” disse, con quella sua voce gutturale e cavernosa che pareva provenire da profondità arcane e abissali.
La materia inerte e dura si ammorbidì; ogni atomo, ogni molecola del legno vibrò di vita.
La prodigiosa creatura si erse su tutta la persona, si sgranchì  le membra e distese i muscoli ancora appesantiti e tesi: quella magica aureola luminosa che guizzava intorno alla sua figura, come lingue di fuoco, andò lentamente impallidendo. Le proporzioni del fisico erano straordinarie e l’aspetto terribile: alto quasi due metri, erano due metri di potenti muscoli armoniosamente distribuiti e guizzanti sotto una pelle bruno dorata.
Pareva un Titano.
I fianchi erano stretti in un gonnellino di pelle e un cordino della stessa pelle gli tratteneva la folta, scura capigliatura; il volto era di una bellezza straordinaria.
Si chinò sul sarcofago della principessa Nefer.
“Mi hai chiamato, mia signora?”
Ma il richiamo non veniva da quella bara ed egli si voltò e le dette le spalle.
“Vengo… vengo, mia signora.” ripeté ed a lunghi passi attraversò la galleria immersa nel buio e si diresse verso l’uscita.
(continua)

brano tratto da  OSORKON - Il Guardiano della Soglia

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